Deborah Chiesa, una vittoria che può cambiare una vita

Chissà se il match di Fed Cup potrà essere la svolta nella sua carriera.

Ci sono treni sui quali fai un viaggio solo, sia pur meraviglioso. Altri che invece ti portano in stazioni più importanti, nelle quali prenderai altri treni per altri viaggi, ancora più significativi ed emozionanti. Difficile, se non impossibile, stabilire adesso cos’abbia veramente portato in dote a Deborah Chiesa il week-end di Fed Cup a Chieti. Ovvero: siamo alla svolta di una carriera ancora inevitabilmente acerba (la ragazza compirà 22 anni il 13 giugno prossimo) o si è trattato di un episodio per certi versi irripetibile e quindi fine a se stesso? Per rispondere a questa domanda, forse è stato di una certa utilità essere presenti al Pala Tricalle e assistere dal vivo sia all’impresa di Deborah che, in seguito, averla sentita rispondere alle domande degli inviati. Anche se chi bazzica un po’ di tennis sa quanto l’atmosfera tipica delle sfide tra nazionali possa manomettere, se non addirittura talvolta stravolger e, i rapporti di forza tra atlete assai lontane tra loro nel ranking WTA – quasi cento posizioni -, la vittoria della trentina su Lara Arruabarrena merita di sicuro un posto tra le imprese più significative delle ultime stagioni.
Proprio per questo era lecito attendersi una Chiesa emozionata, se non addirittura incredula. In fondo, battendo la più quotata spagnola (con tanto di match-point annullato al termine di uno scambio vissuto con il fiato sospeso dai duemila e passa dell’impianto teatino) 9-7 al tie-break decisivo dopo 148 minuti di una partita vinta e persa almeno due volte, Deborah era appena diventata l’eroina di questo Italia-Spagna iniziato per noi con pochissime certezze di buona riuscita e terminato invece in trionfo. Invece, tranquilla (o bravissima a farlo sembrare) come se niente fosse accaduto, fissando gli interlocutori con quei dolci occhi azzurri che poco prima, in campo, non erano riusciti a nasconderne l’animo da guerriera, ha sì confermato di aver avvertito tanta tensione “per il fatto di giocare in un contesto del genere, a cui non sono proprio abituata” ma non ha esitato a dedicare “principalmente a me stessa questa vittoria, che mi ripaga dei tanti sacrifici sostenuti e del duro lavoro svolto”.


Il 2017 è stato, per Deborah, l’anno della svolta. Quello in cui, pur sapendo di dover lasciare affetti fortissimi in quel di Trento, ha scelto di trasferirsi ad Anzio per farsi seguire dal Piccari Tennis Team e vedere fin dove potesse condurla il suo tennis basato su servizio e accelerazioni (meglio se di rovescio), buon disimpegno nei pressi della rete, dritto e mobilità ancora “work in progress” ma sempre più “progress” e infine un carattere che l’impresa di Chieti ha reso di dominio pubblico.
Il 2017, dicevamo, è stata la stagione dei primi titoli in singolare e del balzo in avanti di quasi 300 posizioni nel ranking mondiale. Mentre in doppio, infatti, Deborah aveva iniziato a riempire la bacheca di trofei ITF fin dai diciotto anni (al momento attuale sono in tutto 11), da sola ha dovuto attendere di sistemare una fastidiosa infiammazione al metatarso – che ne ha ritardato la preparazione nei primi mesi – per poi infilare da luglio una striscia di ottimi risultati iniziata con la vittoria nel 25.000$ di Torino e chiusa con il medesimo risultato sul sintetico polacco di Zawada in novembre. Nel mezzo, un’altra vittoria a Santa Margherita di Pula, la finale (dopo essere partita dalle qualificazioni) nel 60.000$ di Hechingen e a Montreux.
Il passo successivo, quello che l’ha condotta a meritarsi la convocazione in nazionale e dunque la fiducia di Tathiana Garbin, è arrivato nelle ultime settimane, quando cioè Deborah ha rotto gli indugi, è volata in Oceania per giocarsi le qualificazioni ad Auckland e Melbourne, non ce l’ha fatta, è tornata in Europa, ha perso al primo turno in un ITF in Francia ma imperterrita è andata a San Pietroburgo, ha battuto Flipkens e Fett prima di arrendersi alla Rybakina e tornare in Italia per la Fed Cup. “Adesso il mio obiettivo è cercare di infilarmi nelle qualificazioni dei tornei maggiori e avere l’opportunità di confrontarmi con avversarie dal ranking migliore del mio, come è successo qui” affermava ieri la Chiesa, lucida e proiettata nel futuro nonostante il meraviglioso e incredibile presente. Pur nella piena consapevolezza che di promesse non mantenute lo sport, e quindi il tennis, è pieno, per Deborah è più che lecito ipotizzare un futuro di crescita costante, per la buona riuscita della quale il modo con cui è venuta a capo di Lara Arruabarrena rappresenta ossigeno allo stato puro.
Avanti di un set (6-4) e un break (2-1) e poi trafitta da un parziale tremendo di 1-9 (fino al 4-1 Spagna nel terzo), trascinando a volte le gambe e apparentemente sopraffatta da un contesto che può aiutarti a salire quando sei in volo ma diventa terribilmente soffocante nel momento in cui annaspi e mostri di aver smarrito la retta via (anche se va riconosciuto al magnifico pubblico di Chieti di averla sempre sostenuta), Deborah Chiesa ha avuto la forza di approfittare di un passaggio a vuoto della rivale nel settimo game – break a zero – e il merito di non tremare quando ha servito due volte per restare nella partita (sul 4-5 e 5-6), di non pensare troppo alla palla-break non sfruttata sul 5-5, di aver risposto con un ace (il quinto, ma non ne metteva a segno dall’ottavo gioco del primi parziale) alla mortificante rimonta della spagnola nel tie-break da 1-5 a 5-5, di non aver tremato a un punto dalla sconfitta (7-6 Spagna) e infine, con un altro ace, di essersi data a sua volta l’opportunità per una passeggiata in paradiso. Tutto molto bello, ma saremo ancor più felici se un giorno potremo raccontare che da qui, dal miracolo di Chieti, è nata una stella.